Molti storici da qualche decennio stanno riscrivendo il nostro risorgimento mettendone in luce una verità dei fatti ben diversa da quella che ci è stata narrata per più di un secolo e mezzo (Cfr. in questo sito le pubblicazioni segnalate nella sezione “Pubblicazioni – Segnalazione pubblicazioni”, voce “Storia”).

L’entrata di Garibaldi nella Città di Palermo il 27 maggio 1860 è raccontata dalla storiografia ufficiale del risorgimento italiano, come trionfale tra la folla festate, ma questa versione potremo definirla una  Fake News, in quanto fu di fatto una farsa (Cfr.  ad esempio, G. Scianò, “E nel mese di maggio 1860 la Sicilia diventò colonia”, Pitti Ed.).

Le strade e le piazze della Città, contrariamente a quanto ci è stato raccontato, erano vuote. Migliaia di Cittadini, avuta la notizia che i garibaldini da lì’ a poco sarebbero entrati in Città, terrorizzati erano fuggiti con ogni mezzo (navi e a piedi) e quelli rimasti erano barricati nelle loro case. Gran parte della nobiltà e del ceto borghese benestante erano fuggiti in campagna o avevano pagato a caro presso un posto sulle navi pronte a partire, o avevano ottenuto un posto nelle navi inglesi in rada davanti al porto di Palermo.

Altrettanti (soprattutto del ceto medio-alto) si erano imbarcati su barche che stazionarono dietro le navi inglesi, o erano partite per ormeggiarsi in porti nelle vicinanze della Città, mentre i più poveri (tanti) fuggirono a piedi.

Con i garibaldini che “presero” la Città c’erano circa quattromila “picciotti” appartenenti alla  mafia e mercenari stranieri capeggiati dal colonnello Eber della Legione Ungherese che ebbe un ruolo importantissimo, se non decisivo,  nella conquista di Palermo e delle Sicilia. In quei giorni a Palermo regnava il caos, e il terrore e la Città fu oggetto di saccheggi e molt

i Cittadini di violenze. I saccheggi interessarono soprattutto le abitazioni della piccola nobiltà e della borghesia non difese da “picciotti mafiosi” che invece erano stati assoldati dalle famiglie nobili e benestanti per difendere le loro proprietà.

La presa di Palermo fu favorita dall’alto tradimento generale borbonico Lanza (in città era presente un contingente di circa 21.000 soldati borbonici) che non permise l’intervento delle truppe del colonnello Colonna per difendere efficacemente la Città lasciando praticamente sguarnite le porte di accesso a Palermo, in modo che fossero vulnerabili. Quando non poté fare a meno di ignorare la marcia dei garibaldini verso la Città, si limitò ad inviare appena 260 reclute dell’esercito borbonico a fronteggiare  gli otre quattromila mafiosi,  i mercenari di Eber  e i garibaldini. I soldati borbonici resistettero e addirittura tentarono di contrattaccare, ma l’enorme squilibrio tra le forze in capo li costrinsero alla ritirata. Il generale Lanza tempestato da numerosi comunicazioni in merito all’attacco di Palermo da parte dei garibaldini, per giustificare il mancato intervento  del suo esercito comunicò di essere pronto a bombardare la Città in modo probabilmente da favorire la mediazione inglese legittimando così l’intervento del Contrammiraglio inglese Mundy, inoltre quando i garibaldini e loro alleati presero Porta Termini (una delle porte principali di accesso alla Città), ordinò la ritirata del grosso dell’esercito borbonico che era stato da poco  autorizzato ad intervenire (9° battaglione comandato dal colonnello Marulli).

Garibaldi arrivato a Palermo, in Piazza Vecchia – oggi Piazza Garibaldi – la trovò deserta e gli edifici attorno avevano porte e finestre sprangate: nessuna folla che gridava Viva l’Italia, Viva Garibaldi!! Pronunciò il suo discorso ai garibaldini e ai “picciotti mafiosi” che lo avevano accompagnato, in pratica parlò solo a sé stesso, perché all’epoca in Sicilia la stragrande maggioranza delle persone parlavano il siciliano e non comprendevano l’’Italiano “dell’uomo venuto dal Nord”.