Napoli e il “vibrione del Colera” è presente ancora nella nostra memoria per l’ultima epidemia degli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, così come le vaccinazioni per chi  aveva soggiornato o era di passaggio a  Napoli e zone limitrofe.

Nel 1836 scoppiò a Napoli e nel Regno delle due Sicilie una epidemia di colera con una seconda ondata molto più virulenta della prima l’anno successivo (1937). Colera che iniziò qualche anno prima  in India nel 1817 e colpì per anni l’ Asia compresa la Russia, per poi approdare in Europa (Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Portogallo, Norvegia ecc.), nel Medioriente, in Arabia  e approdò nel Nord  Italia dopo che si diffuse  Nizza nel 1835. In un primo momento sembrò che il Regno delle due Sicilie ne fosse immune, ma l’anno dopo, nel 1836, iniziò a diffondersi anche qui.

Sembra che chi portò il colera a Napoli fu un barbiere proveniente dalla Puglia dove il colera iniziò a diffondersi grazie alla quasi mancanza di un sistema portuale con approdi per lo sbarco poco attrezzati e non sorvegliati. A Napoli Il cosiddetto “paziente zero” fu un soldato della dogana del porto (Gennaro Maggi) che manifestò i sintomi del colera il 2 ottobre 1836.

Gli abitanti di Napoli prima di questa epidemia censiti al 1 gennaio 1836 erano  357.283, cessata l’epidemia la popolazione scese a 336.302 al 1 gennaio 1838, numeri che tengono conto anche delle nascite (più di 13.500 nel 1836 e poco più di 13.000 nel 1837) da cui si può avere un’idea del numero di vittime a causa di questa epidemia nella città di Napoli. Giacomo Leopardi mori a Napoli il 14 giugno 1937 durante la seconda ondata dell’epidemia di colera, per cui potrebbe anche avanzarsi l’ipotesi che potrebbe essere stato contagiato e il suo stato cagionevole di salute avrebbe favorito la sua morte. Ma anche nelle altre regioni meridionali il colera fece molte vittime, anche se non ci sono dati precisi e attendibili sui decessi provocati dal colera in tutto il Regno. Alcune fonti riportano una stimano  circa 70.000 morti nelle principali Città della Sicilia e in particolare a Palermo  40.642, mentre a Messina solamente 42, mentre un giornale dell’epoca calcolò che in tutto il Regno delle due Sicilie ci furono circa 61.000 morti su una popolazione di circa 6.000.000 di abitanti. I focali di Colera iniziarono a diffondersi e provocarono il più alto numero di contagiati e decessi nei ceti sociali più poveri che vivevano in ambienti malsani, sovraffollati, con scarsa igiene e senza servi sanitari.

La quarantena e le altre restrizioni che purtroppo ci sono familiari a causa della recente pandemia da coronavirus, furono adottati anche dal Regno delle due Sicilie con delle modalità e con l’emanazione di appositi decreti che per l’epoca possono essere considerati all’avanguardia. Nel Regno vi era una classe medica di eccellenza internazionalmente riconosciuta, soprattutto a Napoli che studiò e individuò i sintomi al fine di diagnosticare la malattia per permettere di individuare i casi di colera e quindi i focolai dell’infezione. All’epoca non si conosceva la causa della

malattia, solo nel 1854 fu individuata e così fu possibile realizzare il vaccino. Il Regno delle due Sicilie promulgò già nel 1819 una Legge che affidava al Supremo Magistrato (aveva anche la responsabilità del controllo sanitario della costa e del bestiame) e alla Soprintendenza Generale ramificata in tutto il territorio, la tutela della “Salute Pubblica” decentrando il potere e la responsabilità della vigilanza, e con l’emanazione del successivo regolamento del 13 marzo 1820 resero più efficiente il controllo sanitario del territorio del Regno. E’ da mettere in evidenza in fine che Il Supremo Magistrato e la Sovrintendenza Generale si avvalsero  della collaborazione  di professori dell’Università di Medicina di Napoli all’epoca una delle migliori in Europa, per contenere e cercare di contrastare l’epidemia di colera.

 Nel corso dell’epidemia il Governo emanò provvedimenti per contrastare l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, ai poveri  furono dati letti, vestiti e biancheria, ai malati che lasciavano guariti gli ospedali furono date vettovaglie e denaro. Lo Sato apri negozi a spese per fornire pane a prezzi molto bassi per contrastare la carestia. Gli orfani furono accolti in case di accoglienza. Il Re giornalmente visitava tutti i malati ricoverati per dare loro coraggio. Anche i privati facoltosi fecero la loro parte con cospicue elargizioni in denaro per il sostentamento dei poveri.

Furono istituiti cordoni sanitari, fu messo in atto il blocco e il controllo delle frontiere, furono messi in quarantena i contagiati che potevano scegliere se rimanere a casa o andare negli ospedali, si attuò la disinfettazione delle strade e delle case degli infetti che furono contrassegnate con appositi simboli per censire le abitazioni dove risiedevano persone in quarantena  e le abitazioni disinfettate. Si controllarono capillarmente le navi provenienti dall’estero  e se provenienti da zone infette venivano messe in quarantena con tutto l’equipaggio in apposite aree isolate  del porto. Fu imposto il controllo della provenienza delle merci su tutte le navi che approdavano nei porti del regno. Nei quartieri (Napoli) furono aperti sedi municipali con medici, le monete ad ogni passaggio venivano usualmente disinfettate con una soluzione di acqua e aceto. Nelle maggiori città si censirono gli infetti, i decessi, le persone ricoverate e guarite.

Questi in sintesi,  sono alcuni provvedimenti che furono mesi in campo per contrastare il diffondersi del colera da parte del Governo del Regno delle due Sicilie.

(Alcuni riferimenti bibliografici:

  1. De Rosa, “Collezione delle Leggi de’ Decreti e di altri atti riguardante la Pubblica Istruzione promulgati nel già Reame di Napoli dall’anno 1806 in poi” C.N.R. 2014
  2. Di Fiore, “PANDEMIA 1836 - La guerra dei Borbone contro il colera”, UTET 2020

“La quotidiana emergenza I molteplici impieghi delle istituzioni sanitarie nel Mediterraneo moderno”,  cura di P. Calcagno, D. Palermo, New Digital Frontiers srl, 2017)