L’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti lavorati che si sta verificando in quest’ultimo periodo,  può mettere in ginocchio  il settore dell’edilizia in Italia e bloccare la ricostruzione post sisma 2016 e l’accesso agli incentivi previsti con il cosiddetto “ecobonus” (110%%).

In questo contesto caratterizzato anche dalla carenza della disponibilità di materie prime, c’è il rischio concreto della chiusura di molte imprese che si trovano nelle condizioni di non poter portare a termine  gli appalti già assegnati. A tal proposito si pensi agli appalti pubblici per le grandi opere, ma anche  agli appalti privati, ad esempio legati alla ricostruzione o all’ecobonus. In sostanza gli appalti non risulterebbero più economicamente convenienti. Ed è questo il rischio che si potrebbe correre con il conseguente blocco dei cantieri. Per citare alcuni esempi, l’acciaio sta registrando un aumento anche del 130%, del 40-50% dei polietileni, le opere in cemento armato di circa il 20%, del cemento del 10%, il petrolio del 30-35% e così il costo dei trasporti e questa lista potrebbe proseguire a lungo: E’ poi da considerare che questi dati possono essere  presi in considerazione come in continua evoluzione.

E’ da aggiungere che con l’attuale normativa non è possibile adeguare i prezzi, la cosiddetta “revisione prezzi” che tanto fece discutere in passato per le modalità con cui tale strumento è stato utilizzato  per far lievitare impropriamente i prezzi. Sta di fatto che necessita urgentemente un intervento normativo per scongiurare il blocco dei cantieri e favorire l’apertura di nuovi.

Quanto durerà tutto questo? Nessuno può saperlo con certezza.

L’attuale situazione caratterizzata dalla carenza di materie prime (e lavorati) e dall’aumento dei prezzi, non sono direttamente imputabili alla epidemia ancora in corso, la quale ne ha forse

solo anticipato i tempi, ma ha diverse concause che stanno portando soprattutto  il nostro Paese, ad un impoverimento progressivo . Una di queste è la de-industrializzazione dell’Italia a cui stiamo assistendo passivamente da anni a causa di scelte politiche sbagliate come quella di rincorrere incondizionatamente il dogma della “sostenibilità” senza sapere come misurarla!!  Giusto per citare alcuni esempi, abbiamo affossato l’industria chimica italiana sino a circa 20 anni fa all’avanguardia nel mondo e oggi stiamo per completare lo smantellamento settore siderurgico (settore strategico), inoltre molte industrie e marchi italiani sono stati acquistati o sono controllati da altre imprese estere e molti di questi “acquisti” – chiamiamolo così – sono o stanno per essere delocalizzati altrove.

Scoppiata la pandemia non siamo stati nemmeno in grado di produrre le mascherine!!

In un Paese come il nostro senza disponibilità di materie prime che si è sviluppato importandole e trasformandole in prodotti finiti, una riduzione della produttività non può che provocare la “crisi fiscale dello Stato” come la definì già qualche decennio fa l’economista americano James O’Connor, con il conseguente aumento del debito pubblico e della dipendenza/sudditanza verso altri Paesi che potrebbero condizionarne le scelte politiche e di  sviluppo.

Non credo che stiamo andando bene come da più di un anno e mezzo ci ripetono ossessivamente.