di Placido Munafò

La tecnologia, nella sostanza, migliora  la qualità della nostra vita. Aspetto, questo, strettamente legato alla sopravvivenza della specie umana  e alla possibilità/necessità di risolvere i problemi  connessi al mantenimento e all’evoluzione di una struttura sociale di conseguenza sempre più complessa.  Un’ineludibile pulsione dell’uomo a gestire e migliorare il controllo sull’ambiente e su proprio comfort.

Oggi il termine tecnica e tecnologia si confondono. In passato, la tecnologia era intesa come studio delle tecniche e delle relative tre fasi: preparazione della materia prima, trasformazione della materia prima e finitura.

La tecnica fa da interfaccia tra l’uomo e la natura sopperendo ai limiti di un corpo poco  competitivo rispetto a molti altri esseri viventi, spesso incapace di sopravvivere in taluni ambienti naturali. Il primo grado di organizzazione è quello dell’uomo nomade che caccia per mangiare, per vestirsi e riprodursi. Per cacciare non usa il proprio corpo, ma armi rudimentali che gli garantiscono la competitività sufficiente alla sopravvivenza e poco altro. Solo con la rivoluzione agricola (intorno al IX sec. a.C.) , diventa stanziale, disponendo di un tempo che gli permette di progredire, di inventare la scrittura, di esprimersi e trasmettere conoscenza non più esclusivamente oralmente.  In questa fase, durata sino alle soglie del XVIII secolo, la società agricola si organizza nella forma più compatibile (quella con entropia maggiore possibile)  con una struttura amministrativa di tipo monarchico e feudale. Con la seconda e ultima rivoluzione dell’uomo, quella industriale, le cose cambiano drasticamente, avviandosi un processo di democratizzazione all’accesso dei beni di consumo, oramai disponibili in grandi quantità e  a  prezzi accessibili. Tale sistema mette in crisi la vecchia struttura sociale, se così si può dire, riducendone l’entropia con l’aumentare della complessità. La gestione delle risorse del territorio passa dalle mani del regnante o di un ristretto numero di persone ad una forma diversa  dove al progredire della tecnica, mano a mano sostituisce al controllo politico (amministrazione rappresentativa), quello ecomico-finanziaria.  Da qui in poi l’evoluzione della tecnologia accelera molto più rapidamente rispetto al passato, complessificando il sistema produttivo. Il controllo  delle risorse (e quindi del sistema produttivo) e della società risultano sempre più interconnessi al punto che le scelte non possono prescindere dalla tecnologia. Il ruolo della tecnologia insomma limita la sfera dell’azione politica  e il potere decisionale degli amministratori, le cui scelte non possono confliggere con l’assetto tecnologico dato né con le sue possibili forme di evoluzione. I contatti dell’uomo con la natura sono ridotti al minimo. Mentre la tecnologia in un primo periodo si interfaccia con la natura sostituendosi all’uomo nelle lavorazioni manuali e nel garantirgli un ambiente confortevole (separato/distinto dall’ambiente naturale), con il suo progredire si sostituisse sempre di più  all’uomo anche nell’attività decisionale (sistemi di analisi e scambio di dati nell’accezione ampia del termine e l’intelligenza artificiale). In sintesi la nostra attuale struttura sociale è imperniata sul controllo delle informazioni (dati) per garantire la stabilità di un sistema sempre più complesso (entropia bassissima) che toglie necessariamente, al di la delle apparenze, la libertà individuale e di scelta.

In definitiva, potremo trovarci di fronte all’enigma proposto qualche decennio fa dallo storico della scienza britannico Rupert Hall: fino a quando un sistema chiuso (finito) può essere compatibile con l’evoluzione tecnologica praticamente senza limiti? Ovvero, come può un sistema finito contenere un sistema infinito?

 

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